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Ciak su "Bocca di Rosa"


Il re dei cantautori "storici", Fabrizio De André, per la prima volta nella sua carriera, approda al cinema. Il suo romanzo Un destino ridicolo, scritto insieme con Alessandro Gennari e pubblicato da Einaudi nel '96, diventa un film con la regia di Claudio Bonivento e la colonna sonora in parte scritta dallo stesso Se André. La storia parte dalle esperienze autobiografiche del De André giovane e scapestrato: fra ambizioni musicali, bettole e tante donne. Tra queste una timida prostituta d'angiporto e la mitica Mariza, un'istriana disinibita, l'ispiratrice di Bocca di rosa. Poi la trama si snoda in un giallo che ha per protagonisti un intellettuale marsigliese passato dalla Resistenza al mondo della malavita, un "pappone" sognatore e un pastore sardo scampato per un soffio a una pesante condanna, che cercano di fare il colpo che li metterà a posto per tutta la vita.

"Questo romanzo - spiega De André - mi sta molto a cuore: c'è dentro un pezzo della mia vita. Ciascuno dei tre protagonisti maschili accetta di entrare nel colpo, un furto di pellicce, perché è convinto che da quel momento la sua vita cambierà. Il pastore sardo sogna di aprire una grande fattoria e sposare la prostituta di cui si è innamorato, il protettore di prostitute sogna di girare il mondo insieme a Mariza, la prima donna che non riesce a dominare (esiste veramente e gode di ottima salute anche se non è più giovanissima). Il contrabbandiere ambisce ad aprire un centro internazionale di studi anarchici. Il colpo fallisce e uno dei tre ci lascia le penne. Questo e il seguito fanno capire che la vita è un chiaroscuro, che non esistono colpi risolutivi e nessuna svolta è definitiva. Il difficile sarà rendere l'incrocio fra realtà e finzione letteraria nel momento in cui entrano in scena Alessandro e Fabrizio, cioè Gennari e io. Il libro è già di per sé una sceneggiatura, molto ricco di descrizioni e dialoghi. Scriverò senz'altro qualche musica o canzone originale per il film, non certamente tutta la colonna sonora che dovrà attingere, a mio avviso, al repertorio degli anni '50, con dovizia di guarrache e mambi".

"Se potesse scegliere a chi affiderebbe la parte di Mariza - Bocca di rosa?"
"In linea puramente teorica e se riuscisse a mostrare con qualche espediente parecchi anni di meno, vedrei Brigitte Bardot".
"E per la parte del contrabbandiere - anarchico?"
"Per lui vorrei far resuscitare Jean Gabin".
"Sarebbe fantastico anche Lino Ventura", interviene Gennari.

E il regista Claudio Bonivento, 47 anni, comasco, 57 film all'attivo di genere vario, da Eccezziunale veramente a Pasolini, sottolinea: "L'idea mi è piaciuta subito. Non è usuale, è ricca di tensione e atmosfere. Una di quelle che hanno bisogno di protagonisti importanti e magari una voce narrante. E che si presta ad ambientazioni stimolanti come Genova (una città assai poco usata fino ad oggi come set cinematografico), Marsiglia, Nizza e la Sardegna".
Intanto, il 6 novembre, arriva nei negozi M'innamoravo di tutto, nuova raccolta di Fabrizio De André con il duetto con Mina nella Canzone di Marinella. E ieri è uscito Accordi eretici, il primo studio comparato sulla poetica musicale di Fabrizio De André, introdotto da un omaggio del poeta Mario Luzi.

di Mario Luzzatto Fegiz - Corriere della Sera 01/11/1997

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il mio romanzo

Una vita e mezza
Una Vita e Mezza è un libro che parla soprattutto dell’assenza. O meglio della ricerca, tanto demotivata quanto inconsapevole, di come si può costruire una ciambella salvagente intorno a quel buco che ti si crea dentro quando perdi una persona. Cosicché quel buco, che risucchiava tutto il presente privandolo di senso, possa trasformarsi nel nostro galleggiante. E addirittura salvarci, traghettandoci verso il futuro.
È la storia di un viaggio, metaforico quanto reale, di un ragazzo che è stufo del suo galleggiare, ma che non sa dare una scossa alla propria esistenza. Così parte fidandosi e affidandosi al suo amico, sperando che qualcosa di imprevisto lo colga per assaporare un po’ di brivido della vita.
Riuscirà a trasformare il suo futuro innamorandosene anziché rimanendone schiacciato e afflitto?
Se c’è un’intenzione mirata in tutto ciò, è la creazione del neologismo che indica il dolore per il futuro mancante, la mellontalgia. In contrapposizione con la nostalgia, che indica l’afflizione per il ritorno a casa (nostos), per il passato, per l’infanzia, questa è l’afflizione per to mellon cioè l’avvenire o le cose future, in greco antico. Vuole indicare un dolore attribuito al futuro negato e non vissuto. A ciò che poteva essere e invece non sarà mai. Chissà se se ne sentiva la mancanza.