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1970: La Buona Novella



Il disco venne pubblicato
con due copertine distinte,
una marroncino e l’altra bianca;
quest'ultima presenta sul fronte
l'immagine di De André.
1 - Laudate Dominum - 0:21
2 - L'infanzia di Maria - 5:01
3 - Il ritorno di Giuseppe - 4:07
4 - Il sogno di Maria - 4:07
5 - Ave Maria - 1:53
6 - Maria nella bottega del falegname - 3:14
7 - Via della Croce - 4:33
8 - Tre madri - 2:55
9 - Il testamento di Tito (musica: F.De André e Corrado Castellari) - 5:51
10 - Laudate hominem - 3:20

Testi: Fabrizio De André, a cura di Roberto DanéMusiche: Fabrizio De André e Giampiero Reverberi, con arrangiamenti di Giampiero Reverberi, tranne ove diversamente indicato

Dalle note inserite nel disco e altre mie considerazioni:
L'aggettivo apocrifo, in greco, significa segreto, nascosto. Sembra che stesse ad indicare, fino al IV secolo d.C., alcuni scritti che qualche setta cristiana metteva a disposizione solo degli iniziati, non ritenendo che gli scritti fossero di facile comprensione per le masse.
Quando la Chiesa cominciò a distinguere in « ispirata e no » la letteratura su Cristo escluse quei testi apocrifi dal codice « canonico ».
Per estensione vennero chiamati apocrifi tutti gli scritti esclusi dal codice. Così apocrifo divenne sinonimo di «non veritiero, falso, non corretto ».
Ci sono vangeli, bibbia, atti e lettere, sentenze e apocalissi apocrifi.
I vangeli apocrifi, in genere, vengono datati tra il I e il IV secolo d.C.
 Gli apocrifi sembrano colmare il vuoto dei quattro canonici (Marco, Matteo, Luca, Giovanni) ma la differenza più affascinante è l'attenzione che gli autori mettono anche sulla natura « comunque » umana dei loro protagonisti.
 Pur essendo fuori della Chiesa gli apocrifi hanno lasciato una traccia ben profonda: dalle più piccole e radicate tradizioni: la grotta, l'asino e il bue, i nomi dei Magi e dei genitori di Maria, fino alle basi sulle quali poggia il dogma dell'Assunzione e la definizione « Madre di Dio ». Queste e altre notizie hanno ricchezza di particolari e spesso unica citazione nei vangeli apocrifi. La loro storia è sotterranea. I « fedeli » cristiani non li conoscono, la Chiesa non li divulga, per secoli sono stati ignorati eppure Dante, Carpaccio, Tiziano, Michelangelo, Raffaello, Hugo, Buigakov devono averli letti se hanno raccontato o dipinto scene che solo gli apocrifi contengono.
 Questo disco nasce da una ricerca sugli apocrifi e sull'animo umano; nasce dalla necessità di divulgare e comunicare la convinzione che l'argomento è lungi dall'essere superato: semmai, oggi, l'interesse si sposta alla gente.
 Il problema più che religioso è mistico e comincia a cadenzare una sfiducia in tutto ciò che è mito ma non risolve, che è autorità ma non opera, che è volontà ma non vuole altri che se stessa. 
 Così una bambina, prima ancora di capire, prima ancora di volere, è già strumento della fede dei genitori e, naturalmente, dei potere che quella fede esercita. E viene allevata nel seno del potere per servire il potere. E proprio dalla vergine per vocazione, nasce la rivolta. La gioia è breve, il potere riprende le redini in mano, la rivolta è soffocata, il potere uccide. L'altalena vichiana del finale toglie, senza molte cortesie, e senza tanto favoleggiare, le illusioni a diciannove secoli di storia.
 La storia finisce con la morte perché la morte è la fine della realtà. La resurrezione sarebbe ancora leggenda e ancora una volta toglierebbe forza alla possibilità di imitare quest'uomo che De André considera il più importante rivoluzionario della storia.
 Il legame con i vangeli apocrifi è allo stesso tempo profondo e tenue. Direi che De André li usa fin che gli sono utili, ne adopera alcuni strumenti, sono la fonte necessaria per un lavoro così complesso. L'infanzia di Maria ha dei precisi riferimenti storici e così il viaggio di Giuseppe, l'annunciazione dell'angelo e la parte nota della passione. Ma al personaggio Giuseppe, per esempio, De André ha dato un'anima che negli apocrifi non ha. Gli autori di duemila anni fa lo dicono servitore di un'idea ma non dicono che cosa lui ne pensasse. E così i turbamenti di Maria, le parole delle tre madri, i gruppi della via crucis (che, come fonte è apocrifa e non esiste nei canonici) il sogno della concezione e soprattutto il testamento di Tito nascono dalla fantasia di De André per costruire una storia che termini, fisicamente e nel contenuto, con « lodate l'uomo ».
 Dei versi di Fabrizio, ormai giunto alla maturità espressiva, c'è da segnalare l'uso della metrica e della rima. Ne è divenuto così padrone da non perdere occasione per proporre un'immagine. E qui le immagini si rincorrono, si sovrappongono, si ammucchiano una contro l'altra dal primo verso all'ultimo. Apparentemente senza fatica. E invece è stata fatica, di un anno di lavoro, molti giorni e molte serate e troppe notti.
L’orizzonte e i riferimenti religiosi, pur se da leggersi in chiave allegorica, sono ovviamente ineliminabili dai dieci pezzi che compongono il disco, e traggono la loro linfa vitale dalla lettura di alcuni Vangeli Apocrifi (in particolare Il Protovangelo di Giacomo e Il Vangelo arabo dell’Infanzia). 
È anche vero, però, ed è proprio quel che non capirono quanti criticarono l’album, che De André compì una secolarizzazione del religioso (“avevo urgenza di salvare il cristianesimo dal cattolicesimo […] I vangeli apocrifi sono una lettura bellissima con molti punti di contatto con l’ideologia anarchica […] I personaggi del Vangelo perdono un poco di sacralizzazione a vantaggio, penso e spero, di una loro maggiore umanizzazione”), utilizzandone le narrazioni come allegoria del presente e quindi, contro la società contemporanea.
A questo proposito basti pensare al brano Il Testamento di Tito. Come disse lo stesso De André, Il testamento di Tito “dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l’ha”. Nelle parole di Tito, che ha violato uno ad uno i dieci comandamenti, troviamo esplicitate esattamente le stesse ingiustizie e gli stessi paradossi che attanagliano il mondo di oggi, assieme a una feroce critica della confusione tra legge e giustizia. Un album immenso, questo, in cui la spiritualità e gli ideali anarchici di De André trovano un punto di saldatura, mostrandoci come le due cose si possano coniugate assieme nel nome di un personaggio che, volenti o nolenti, aprì uno squarcio di luce nella storia.
In un album di 35 minuti e 21 secondi, De André ribalta una prospettiva vecchia di quasi due millenni. Rispetto al musical Jesus Christ Superstar, dello stesso hanno, ha una analogia preziosa e una differenza abissale: in nessuno dei due lavori, il centro del racconto è Cristo. In Jesus Christ Superstar è sostanzialmente Giuda e la sua esperienza straziante, il lato umano della vicenda evangelica, se pure Gesù c’è e si nota, agisce; Ne La Buona Novella, i protagonisti sono soprattutto Maria, ma anche Giuseppe, le madri dei ladroni che vengono crocifissi con gesù, quando non il ladrone stesso. E ovviamente tutti gli straccioni che seguono la vicenda del Cristo. I protagonisti quindi sono l’intorno. Gesù non dice mai nemmeno mezza parola. La visione deandreiana di dare la parola agli ultimi, a quelli che spesso sono senza nome, senza volto, senza storia, invisibili, esclusi dal potere, come nel precedente album Tutti Morimmo a Stento, riemerge di nuovo. E se possibili con maggior forza.
La differenza tra le due narrazioni è invece cronologica: mentre Jesus Christ Superstar ci descrive il classico momento cruciale della vita di Gesù, La Buona Novella descrive sostanzialmente il prima. Prima dell’anno zero, sulla vicenda umana di Maria e Giuseppe. Concludendosi con la Passione e la Crocefissione. Giuda, il tradimento, la resurrezione, sono assenti. Altrettanto risalto, di nuovo come nel precedente album, ha la presenza del coro, come nella tragedia greca. Se possibile, ancora una volta, con maggior forza. 
Rispetto a Tutti morimmo a stento, qui si abbandonano le musicalità anni 60-70, niente rock, niente prog. L’ambiente, tra onirico e reale, è fatto di sole chitarre, tastiere ed archi.
Anche in questo disco, è stato musicalmente importante il contributo di Gian Piero Reverberi, che dichiarava: "Nella BUONA NOVELLA, tutti i pezzi ove c'è pianoforte sono chiaramente roba mia, quelli dove c'è una chitarra sono di Fabrizio. I pezzi per coro sono evidentemente miei, perché De André Stravinskij non lo conosceva e lì ci sono dei riferimenti precisi. Se uno conosce un po' la musica, può capire chi ha messo mano a cosa..." 
Ci fu chi accusò il cantautore d’aver pubblicato un album non schierato e anacronistico, privo di riferimenti all’attualità, una specie di antologia fiabesca che trae la propria linfa vitale da storielle di duemila anni fa. Scelta eticamente discutibile, insomma. Anni dopo fu lo stesso de André a parlare di questa sorta di delusione che colse alcuni dei suoi fan:
«Quando scrissi "La buona novella" era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente - che sono poi sempre la maggioranza di noi - compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: "Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia - che peraltro già conosciamo - della predicazione di Gesù Cristo." Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un'allegoria - era una allegoria - che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del '68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell'autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazaret e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Non ho voluto inoltrarmi in percorsi, in sentieri, per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia, prima di tutto perché non ci capisco niente; in secondo luogo perché ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente quello che ha fatto l'uomo da quando ha messo i piedi sulla terra. Ho quindi preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell'accostarsi all'argomento, nel parlare della figura di Gesù di Nazaret, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant'è vero che ancora oggi proprio il mondo dell'Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito. Laddove invece il mondo cattolico continua a considerare Maometto qualcosa di meno di un cialtrone. E questo direi che è un punto che va a favore dell'Islam. L'Islam quello serio, non facciamoci delle idee sbagliate.» (Dal concerto al teatro Brancaccio, 14 febbraio 1998)
La Buona Novella è in sostanza l’allegoria del Cristo rivoluzionario. E’ un’opera il cui cardine è la protesta di un uomo che sfidò il potere e morì in nome del suo ideale, di un rivoluzionario che venne crocifisso perché portatore di un messaggio che andava a minare l’ordine costituito. E per raccontare questo potere che giudica e condanna, e per raccontare la portata rivoluzionario del suo messaggio, si usano tutti quelli che gli sono intorno. Si usa tutto l’amore che su di lui si è riversato, molto più che l’amore che lui stesso ha predicato e operato.





questo invece è il video della spiegazione dell'intero album

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il mio romanzo

Una vita e mezza
Una Vita e Mezza è un libro che parla soprattutto dell’assenza. O meglio della ricerca, tanto demotivata quanto inconsapevole, di come si può costruire una ciambella salvagente intorno a quel buco che ti si crea dentro quando perdi una persona. Cosicché quel buco, che risucchiava tutto il presente privandolo di senso, possa trasformarsi nel nostro galleggiante. E addirittura salvarci, traghettandoci verso il futuro.
È la storia di un viaggio, metaforico quanto reale, di un ragazzo che è stufo del suo galleggiare, ma che non sa dare una scossa alla propria esistenza. Così parte fidandosi e affidandosi al suo amico, sperando che qualcosa di imprevisto lo colga per assaporare un po’ di brivido della vita.
Riuscirà a trasformare il suo futuro innamorandosene anziché rimanendone schiacciato e afflitto?
Se c’è un’intenzione mirata in tutto ciò, è la creazione del neologismo che indica il dolore per il futuro mancante, la mellontalgia. In contrapposizione con la nostalgia, che indica l’afflizione per il ritorno a casa (nostos), per il passato, per l’infanzia, questa è l’afflizione per to mellon cioè l’avvenire o le cose future, in greco antico. Vuole indicare un dolore attribuito al futuro negato e non vissuto. A ciò che poteva essere e invece non sarà mai. Chissà se se ne sentiva la mancanza.