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Il Sogno di Maria






In questo brano la scena è nuovamente nel tempio, dove Maria conobbe l’angelo. In un sogno questi la porta in volo lontano e lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo. Al risveglio Maria capisce di essere incinta e si scioglie in pianto. Credo che valga veramente la pena ascoltarla. 
Io proverò a leggerla..

Nel Grembo umido, scuro del tempio,
l'ombra era fredda, gonfia d'incenso;
l'angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera:
poi, d'improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese - Conosci l'estate -
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

L’ambientazione è il tempio dove vive Maria, paragonato ad un grembo materno. Ma umido, scuro, freddo. Qui Maria incontra l’angelo ogni sera ed ogni sera lui le insegna una preghiera. Siamo ai limiti del doppio senso, come se questo angelo fosse una persona in carne ed ossa. L’angelo scioglie le mani di Maria che erano evidentemente giunte in preghiera e comincia a volare, in estasi, con la fantasia, in un sogno. E in questa prima strofa troviamo la sinestesia più bella di sempre che ci restituisce tutto il senso dell’amore e della libertà. Dallo scuro, umido e freddo grembo del tempio l’angelo la libera e le fa conoscere l’estate e l’estasi dell’amore. Lei vede il colore del vento.

Volammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade,
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all'ulivo si abbraccia la vite.
Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d'ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

E vola libera davvero Maria, insieme all’angelo, sopra tutte le cose reali, sopra il quotidiano. Scivolando infine in una valle dopo si intrecciano vite e ulivo, simboli cristiani per eccellenza. La vigna del signore è il mondo degli uomini, l’ulivo è la pace. Non si sta forse concependo il cristianesimo? Scendono fino a dove il giorno si perde, fino all’imbrunire, quando il sole va a cercare un nuovo giorno, oltre l’orizzonte intorno al mondo che gira. E lui le parla come quando si prega, a mente o al più sussurrando, sgranandola come un rosario. 

Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare:
poi vidi l'angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami,
nei gesti immobili d'un altra vita,
foglie le mani, spine le dita.

Poi arrivano i sacerdoti. Li dipinge ad ombre lunghe, come quelle che proietta il sole della sera. A me piace immaginarli sulla porta del tempio che sorprendono Maria nella sua estasi. Lei infatti cerca di scappare con le ali, ma il sogno è finito è lei è di nuovo nel tempio quindi il braccio non ha più le ali e non può volare. L’angelo si trasforma in cometa, veloce e luminosa, pietrifica i volti dei sacerdoti giudei e li consegna al passato, immobili come piante, con le spine al posto delle dita.

Voci di strada, rumori di gente,
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l'immagine, stinse il colore,
ma l'eco lontana di brevi parole
ripeteva d'un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno ma sonno non era
- Lo chiameranno figlio di Dio -
Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre.

Ma anche quella della trasformazione del potere giudaico in storia dentro al tempio era parte del sogno, infatti a svegliarla sono le voci dei vivi. Si è fatto giorno ed è ripresa la vita fuori dal tempio. Le Immagini si sbiadiscono come fanno sempre i sogni che fino ad un attimo prima erano così vividi e riesce a ricordare a malapena le parole dell’angelo, un’eco che le ripete la strana preghiera. E lei non riesce a capire più nemmeno se era un sogno o no. Ricorda solo”lo chiameranno figlio di Dio”, ma queste parole sono tanto confuse nella sua mente quanto impresse nel ventre: Maria, che fosse sogno o meno ormai svanito, ora è incinta.

E la parola ormai sfinita
si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra
si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto
d'una quiete apparente
che si consuma nell'attesa
d'uno sguardo indulgente.

Nell’ultima strofa si capisce che la canzone è di fatto Maria che racconta a Giuseppe lo strano sogno. Lei, sfinita dal racconto, inizia a piangere. L’immagine è portentosa: lei ha paura e dalla voce probabilmente tremolante questa pura passa agli occhi colmi di lacrime. Rimane con gli occhi semichiusi cercando di sembrare calma ma in attesa dello sguardo indulgente di Giuseppe che la sta ascoltando. Ovviamente lei non sa se Giuseppe crederà al suo sogno o se la ripudierà o magari la picchierà come un’adultera.

E tu, piano, posasti le dita
all'orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.


E Giuseppe infine alza una mano, ma per posare le dita all’orlo della fronte di Maria, come a spostarle una ciocca di capelli dal volto spossato dal racconto e madido di lacrime. Con la paura che la carezza anche possa essere troppo forte, troppo ruvida e fare del male a quella bambina.







1 commento:

mauro ha detto...

Straordinario, ogni volta mi commuove .

il mio romanzo

Una vita e mezza
Una Vita e Mezza è un libro che parla soprattutto dell’assenza. O meglio della ricerca, tanto demotivata quanto inconsapevole, di come si può costruire una ciambella salvagente intorno a quel buco che ti si crea dentro quando perdi una persona. Cosicché quel buco, che risucchiava tutto il presente privandolo di senso, possa trasformarsi nel nostro galleggiante. E addirittura salvarci, traghettandoci verso il futuro.
È la storia di un viaggio, metaforico quanto reale, di un ragazzo che è stufo del suo galleggiare, ma che non sa dare una scossa alla propria esistenza. Così parte fidandosi e affidandosi al suo amico, sperando che qualcosa di imprevisto lo colga per assaporare un po’ di brivido della vita.
Riuscirà a trasformare il suo futuro innamorandosene anziché rimanendone schiacciato e afflitto?
Se c’è un’intenzione mirata in tutto ciò, è la creazione del neologismo che indica il dolore per il futuro mancante, la mellontalgia. In contrapposizione con la nostalgia, che indica l’afflizione per il ritorno a casa (nostos), per il passato, per l’infanzia, questa è l’afflizione per to mellon cioè l’avvenire o le cose future, in greco antico. Vuole indicare un dolore attribuito al futuro negato e non vissuto. A ciò che poteva essere e invece non sarà mai. Chissà se se ne sentiva la mancanza.