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Laudate Hominem







Per arrivare al senso totale dell’album invece abbiamo ancora una canzone. Idealmente il cerchio i chiude e dal Laudate Dominum della prima traccia si arriva al Laudate Hominem dell’ultimo. Ancora una volta è il coro a parlare e a spiegarci tutto.A cantarla sono gli straccioni, siamo tutti, tutta la cultura del cristianesimo.

Laudate dominum, Laudate dominum
Il potere che cercava il nostro umore mentre uccideva nel nome di un dio,
nel nome di un dio uccideva un uomo: nel nome di quel dio si assolse.
Poi poi chiamò Dio quell'uomo e nel suo nome, nuovo nome, altri uomini uccise
Non voglio pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Laudate dominum, Laudate dominum

Lodate il Dio, canta il coro come all’inizio del disco. Ma gli straccioni subito rispondono: il potere cercava il nostro umore, si nascondeva dietro la volontà del popolo di scegliere di salvare Barabba, mentre uccideva nel nome di Dio un uomo. E nel nome dello stesso Dio si assolse da quell’omicidio. Assoluzione e delitto, lo stesso movente, potremmo dire. Poi dopo chiamò Dio quell’uomo che aveva ucciso, Gesù Cristo e anche in nome di questo Dio uccise altri uomini. Dio sembra solo una grande scusa del potere per uccidere e opprimere gli uomini. Ed io allora non Voglio pensarti figlio di Dio, ma figlio di un uomo che sbaglia, fratello mio.
Laudate Dominum ripete il potere.

Ancora una volta abbracciamo la fede
che insegna ad avere il diritto al perdono, 
perdono sul male commesso nel nome d'un dio
che il male non volle finché restò uomo.
Non posso pensarti figlio di Dio, ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Laudate dominum

Allora, dicono gli straccioni, abbracciamo la fede che insegna ad avere il perdono solo sul male commesso in nome di Dio, come quello che fate voi? Ma questo Dio finché restò uomo non voleva il male. No, anche se volessi, io non posso pensarti figlio di quel Dio, ma piuttosto figlio dell’uomo che sbaglia, fratello anche mio.
Tentano ancora i sacerdoti. Laudate dominum!

Qualcuno tentò di imitarlo, se non ci riuscì fu scusato, anche lui perdonato.
Perché non s'imita un dio, un dio va temuto e lodato
Laudate hominem
No, non devo pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Laudate hominem.


E allora lodate solo l’uomo e non più il Dio, il potere. Ecco la chiave, pur volendo, pur potendo io non DEVO vederti come figlio di Dio. Altrimenti questo potere commetterà violenza, perché non ci sono poteri buoni. E allora devo pensarti come un semplice uomo, figlio dell’uomo e dunque fratello anche mio. Perché se esiste un Dio che giudica, condanna e commette violenza, uccide, per questo basta e avanza il potere dell’uomo. Mentre invece non esiste un Dio che perdona. Perché perdona solo chi ammette di poter sbagliare, perché sa che vivendo, si sbaglia. Dio non sbaglia, vivono e sbagliano solo gli uomini e solo gli uomini dunque perdonano. Solo gli uomini amano davvero. Lodate l’uomo, l’uomo che ama e che perdona come Cristo. Lodate la parte umana del Dio, quello che si fa uomo. 







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il mio romanzo

Una vita e mezza
Una Vita e Mezza è un libro che parla soprattutto dell’assenza. O meglio della ricerca, tanto demotivata quanto inconsapevole, di come si può costruire una ciambella salvagente intorno a quel buco che ti si crea dentro quando perdi una persona. Cosicché quel buco, che risucchiava tutto il presente privandolo di senso, possa trasformarsi nel nostro galleggiante. E addirittura salvarci, traghettandoci verso il futuro.
È la storia di un viaggio, metaforico quanto reale, di un ragazzo che è stufo del suo galleggiare, ma che non sa dare una scossa alla propria esistenza. Così parte fidandosi e affidandosi al suo amico, sperando che qualcosa di imprevisto lo colga per assaporare un po’ di brivido della vita.
Riuscirà a trasformare il suo futuro innamorandosene anziché rimanendone schiacciato e afflitto?
Se c’è un’intenzione mirata in tutto ciò, è la creazione del neologismo che indica il dolore per il futuro mancante, la mellontalgia. In contrapposizione con la nostalgia, che indica l’afflizione per il ritorno a casa (nostos), per il passato, per l’infanzia, questa è l’afflizione per to mellon cioè l’avvenire o le cose future, in greco antico. Vuole indicare un dolore attribuito al futuro negato e non vissuto. A ciò che poteva essere e invece non sarà mai. Chissà se se ne sentiva la mancanza.