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Inverno






Con Inverno si passa al secondo lato dell'album. Non c'è un intermezzo a separare i due blocchi e (se ascoltato tutto di seguito) uno degli unici due momenti di silenzio del disco, è qui. L'altro è alla fine della canzone successiva. Forse perché finisce un lato del Long Playing o forse perché questa è una piccola parentisi nel disco che racchiude le prossime due canzoni. 
"Inverno" è una canzone dalle sonorità più classiche. Sembra l'immagine della natura che si annulla nel bianco della neve, nella nebbia e nel nero degli alberi scarni. Segnando la terribile ciclicità di tutte le cose. Lo sconforto, il cinismo, l'arrendevolezza.
Le strofe vanno a coppie: prima, terza e quinta parlano delle stagioni, le pari parlano di un amore.

Sale la nebbia sui prati bianchi 
come un cipresso nei camposanti, 
un campanile che non sembra vero 
segna il confine fra la terra e il cielo.
Ma tu che vai, ma tu rimani. 
Vedrai la neve se ne andrà domani, 
rifioriranno le gioie passate 
col vento caldo di un'altra estate.

Lo scenario è tetro: i prati innevati, con la nebbia e dei cipressi che si innalzano vicino ad un cimitero. Il campanile, segno di spiritualità segna il confine tra la terra dei vivi e il cielo dei morti. Ma tu non andartene, l'inverno poi passa e torna l'estate.

Anche la luce sembra morire 
nell'ombra incerta di un divenire 
dove anche l'alba diventa sera 
e i volti sembrano teschi di cera.
Ma tu che vai, ma tu rimani. 
Anche la neve morirà domani, 
l'amore ancora ci passerà vicino 
nella stagione del biancospino.

La luce del nostro amore sembra morire nell'incertezza del domani. Pallidi teschi di cera. Ma non andare, rimani ancora, la neve domani si scioglierà e l'amore ci ripasserà vicino in primavera.

La terra stanca sotto la neve 
dorme il silenzio di un sonno greve, 
l'inverno raccoglie la sua fatica 
di mille secoli, da un'alba antica.
Ma tu che stai, perché rimani? 
Un altro inverno tornerà domani, 
cadrà altra neve a consolare i campi, 
cadrà altra neve sui camposanti.

La terra pure è stanca, sta arrivando la primavera e l'inverno raccoglie le sue cose per andarsene. Ma tu che sei qui, perché rimani? La prospettiva si ribalta: ora che sei qui e rimani, perché lo fai? l'inverno tornerà e tutto morirà nuovamente domani. La morte e ciclica e coglie sempre tutto. Tutto è totalmente inutile e privo di senso. Terribile.





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il mio romanzo

Una vita e mezza
Una Vita e Mezza è un libro che parla soprattutto dell’assenza. O meglio della ricerca, tanto demotivata quanto inconsapevole, di come si può costruire una ciambella salvagente intorno a quel buco che ti si crea dentro quando perdi una persona. Cosicché quel buco, che risucchiava tutto il presente privandolo di senso, possa trasformarsi nel nostro galleggiante. E addirittura salvarci, traghettandoci verso il futuro.
È la storia di un viaggio, metaforico quanto reale, di un ragazzo che è stufo del suo galleggiare, ma che non sa dare una scossa alla propria esistenza. Così parte fidandosi e affidandosi al suo amico, sperando che qualcosa di imprevisto lo colga per assaporare un po’ di brivido della vita.
Riuscirà a trasformare il suo futuro innamorandosene anziché rimanendone schiacciato e afflitto?
Se c’è un’intenzione mirata in tutto ciò, è la creazione del neologismo che indica il dolore per il futuro mancante, la mellontalgia. In contrapposizione con la nostalgia, che indica l’afflizione per il ritorno a casa (nostos), per il passato, per l’infanzia, questa è l’afflizione per to mellon cioè l’avvenire o le cose future, in greco antico. Vuole indicare un dolore attribuito al futuro negato e non vissuto. A ciò che poteva essere e invece non sarà mai. Chissà se se ne sentiva la mancanza.