Fiddler Jones E.L.Master The earth keeps some vibration going There in your heart, and that is you. And if the people find you can fiddle, Why, fiddle you must, for all your life. What do you see, a harvest of clover? Or a meadow to walk through to the river? The wind's in the corn; you rub your hands For beeves hereafter ready for market; Or else you hear the rustle of skirts Like the girls when dancing at Little Grove. To Cooney Potter a pillar of dust Or whirling leaves meant ruinous drouth; They looked to me like Red-Head Sammy Stepping it off, to "Toor-a-Loor." How could I till my forty acres Not to speak of getting more, With a medley of horns, bassoons and piccolos Stirred in my brain by crows and robins And the creak of a wind-mill--only these? And I never started to plow in my life That some one did not stop in the road And take me away to a dance or picnic. I ended up with forty acres; I ended up with a broken fiddle-- And a broken laugh, and a thousand memories, And not a single regret. | Il violinista Jones F.Pivano (traduz.) La terra ti suscita vibrazioni nel cuore: sei tu. E se la gente sa che sai suonare, suonare ti tocca, per tutta la vita. Che cosa vedi, una messe di trifoglio? O un largo prato tra te e il fiume? Nella meliga è il vento; ti freghi le mani perché i buoi saran pronti al mercato; o ti accade di udire un fruscio di gonnelle come al Boschetto quando ballano le ragazze. Per Cooney Potter una pila di polvere o un vortice di foglie volevan dire siccità; a me pareva fosse Sammy Testa-rossa quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor. Come potevo coltivare le mie terre, - non parliamo di ingrandirle - con la ridda di corni, fagotti e ottavini che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa, e il cigolìo di un molino a vento - solo questo? Mai una volta diedi mani all'aratro, che qualcuno non si fermasse nella strada e mi chiedesse per un ballo o una merenda. Finii con le stesse terre, finii con un violino spaccato - e un ridere rauco e ricordi, e nemmeno un rimpianto. |
Fiddler Jones
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il mio romanzo
Una Vita e Mezza è un libro che parla soprattutto dell’assenza. O meglio della ricerca, tanto demotivata quanto inconsapevole, di come si può costruire una ciambella salvagente intorno a quel buco che ti si crea dentro quando perdi una persona. Cosicché quel buco, che risucchiava tutto il presente privandolo di senso, possa trasformarsi nel nostro galleggiante. E addirittura salvarci, traghettandoci verso il futuro.
È la storia di un viaggio, metaforico quanto reale, di un ragazzo che è stufo del suo galleggiare, ma che non sa dare una scossa alla propria esistenza. Così parte fidandosi e affidandosi al suo amico, sperando che qualcosa di imprevisto lo colga per assaporare un po’ di brivido della vita.
Riuscirà a trasformare il suo futuro innamorandosene anziché rimanendone schiacciato e afflitto?
Se c’è un’intenzione mirata in tutto ciò, è la creazione del neologismo che indica il dolore per il futuro mancante, la mellontalgia. In contrapposizione con la nostalgia, che indica l’afflizione per il ritorno a casa (nostos), per il passato, per l’infanzia, questa è l’afflizione per to mellon cioè l’avvenire o le cose future, in greco antico. Vuole indicare un dolore attribuito al futuro negato e non vissuto. A ciò che poteva essere e invece non sarà mai. Chissà se se ne sentiva la mancanza.
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