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Recitativo e Corale




L'ultimo intermezzo sfocia nello straziante "Recitativo" finale: una condanna generale all'umanità, degli egoismi, dei benpensanti e dell'insensibilità, alternato al "Corale". Vengono messe nelle tracce come se fossero due canzoni ma in realtà è un unico brano dalle strofe intrecciate.
Le vediamo insieme, come lui le canta.

Uomini senza fallo, semidei 
che vivete in castelli inargentati, 
che di gloria toccaste gli apogei, 
noi che invochiam pietà siamo i drogati
Dell'inumano varcando il confine 
conoscemmo anzitempo la carogna 
che ad ogni ambito sogno mette fine: 
che la pietà non vi sia di vergogna

Questa è la prima invocazione agli uomini. Invoca pietà per i drogati (il disco si apre coi drogati) e si appella agli smidollati che vivono suoi loro castelli di ricchezze, agli uomini che non cadono mai in fallo, che non sbagliano mai. Poi comincia il coro.

C'era un re che aveva due castelli, 
uno d'argento uno d'oro. 
Ma per lui non il cuore di un amico, 
mai un amore né felicità

Eccoli i re nei castelli d'argento, senza amore e senza vita. Poi continua il recitativo.

Banchieri, pizzicagnoli, notai 
coi ventri obesi e le mani sudate, 
coi cuori a forma di salvadanai. 
Noi che invochiam pietà fummo traviate.
Navigammo su fragili vascelli, 
per affrontar del mondo la burrasca. 
Ed avevamo gli occhi troppo belli: 
che la pietà non vi rimanga in tasca
Giudici eletti, uomini di legge, 
noi che danziam nei vostri sogni ancora 
siamo l'umano desolato gregge 
di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agonia votaste decidendone la sorte 
e quanto giusta pensate che sia una sentenza che decreta morte?

La seconda invocazione è la pietà per le persone traviate, quelli che hanno sbagliato (la seconda canzone era per gli impiccati). E si appella ai grandi professionisti con la pancia piena.
E poi chiede ai giudici che hanno condannato a morte in nome della giustizia quanta giustizia ci sia in una condanna a morte. Poi torna il coro.

Un castello lo donò e cento e cento amici trovò
l'altro poi gli portò mille amori,
ma non trovò la felicità

Il Re infelice ha donato un castello in cambio degli amici e uno in cambio dell'amore. E ne trovò mille. Ma non era ancora felice. Poi torna il recitativo.

Uomini, cui pietà non convien sempre. 
Mal accettando il destino comune, 
andate, nelle sere di novembre, 
a spiar delle stelle al fioco lume, 
la morte e il vento in mezzo ai camposanti, 
muover le tombe e metterle vicine 
come fossero tessere giganti 
di un domino che non avrà mai fine.
Uomini, poiché all'ultimo minuto 
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto 
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia, 
gioir nei prati o fra i muri di calce, 
come crescere il gran guarda il villano, 
finché non sia maturo per la falce

Questo è l'atto d'accusa: uomini che non avete mai avuto pietà e avete giudicato, emarginato e ammazzato in tutti i modi i più sensibili, non accettate il destino ciclico comune a tutti (la morte, anche la vostra) e per questo fate i cimiteri mettendo vicine infinite lapidi, come fossero tessere del domino che tutavia al contrario del domino, non finirà mai la gente da seppellire. Per non farvi venire troppo tardi il rimorso di non aver mai avuto pietà per nessuno, vi dico sin da adesso che non siete voi a guardare la morte nei cimiteri, ma è la morte a guardare voi in ogni istante, mentre siete felici nei prati o mentre siete a casa vostra. Vi guarda come il contadino guarda crescere il grano aspettando che sia maturo per essere raccolto. Una condanna definitiva. Poi chiude con l'ultimo pezzo di coro.

Non cercare la felicità in tutti quelli a cui tu hai donato, per avere un compenso. 
Ma solo in te, nel tuo cuore, se tu avrai donato, solo per pietà.

Ed eccola la felicità. Non puoi cercarla nei rapporti costruiti per compenso. La felicità non è una ricompensa per aver donato qualcosa. La felicità si trova solo laddove tu hai donato per pietà.
Il disco si chiude è aperto licenziando Dio, quel Dio che giudica e separa i buoni e i cattivi. Dio è la morale che ci insegna la guerra. E si chiude con la pietà. La pietà che in fin dei conti è il sentimento di Cristo, la parte di Dio che si è fatta uomo. Non a caso due anni dopo pubblicherà un altro concept album che parla della storia di Gesù.






Andrea





«Questa canzone la dedichiamo a quelli che Platone chiamava, in modo addirittura poetico, i "figli della luna"; quelle persone che noi continuiamo a chiamare gay oppure, per una strana forma di compiacimento, diversi, se non addirittura culi. Ecco, mi fa piacere cantare questa canzone, che per altro è stata scritta per loro una dozzina di anni fa, così a luci accese, anche a dimostrare che oggi, almeno in Europa, si può essere semplicemente se stessi senza più bisogno di vergognarsene»

(Fabrizio De André durante il concerto tenuto al Teatro Smeraldo di Milano il 19/12/1992)





Questa è forse la prima canzone italiana (e non voglio spingermi più in là dell'Italia) a narrare di un amore omosessuale tra due uomini. Una canzone a dir poco meravigliosa.
Si capisce che si tratta di due uomini per il semplice fatto che Fabrizio usa per il protagonista sempre sostantivi maschili (si è perso e non si è persa), mentre dell'altro (riccioli neri) ci dice che è morto militare in guerra. Più chiaro di così...
La canzone è contenuta in Rimini, l'album del 1978 e parla di questo amore, a mio modo di vedere corrisposto (la perla più rara) e che finisce un po' male. Procediamo riga per riga:


Andrea s'è perso, s'è perso e non sa tornare.
Andrea s'è perso, s'è perso e non sa tornare.
Andrea aveva un amore, riccioli neri
Andrea aveva un dolore, riccioli neri.

Andrea è un innamorato, maschio, che si è "perdutamente" innamorato. Aveva un amore che aveva i riccioli neri. Ma questo amore è diventato un dolore. 

C'era scritto sul foglio ch'era morto sulla bandiera 
C'era scritto e la firma era d'oro: era firma di re.
Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.
Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.

Questo amore è un dolore perché è morto. È morto in guerra, la prima guerra mondiale a quanto pare, ucciso dagli austriaci sulla trincea triestina. Gli è arrivata a casa la cartolina del decesso, una cartolina affidabile, firmata dal Re d'Italia.

Occhi di bosco, contadino del Regno, profilo francese
Occhi di bosco, soldato del regno, profilo francese
E Andrea l'ha perso, ha perso l'amore. La perla più rara 
E Andrea ha in bocca un dolore, la perla più scura.

Occhi di bosco, questo ragazzo partito per la guerra era un contadino del Regno d'Italia costretto a diventare militare, suo malgrado. Andrea aveva un amore,ma adesso l'ha perso a causa della guerra. Aveva l'amore nella sua forma più rara (dunque credo possa significare che era corrisposto), ma adesso l'ha perso e la perla è diventata quella più amara, quella più scura, quella del vedovo.

Andrea coglieva, raccoglieva violette ai bordi del pozzo
Andrea gettava riccioli neri nel cerchio del pozzo

Andrea rimane solo nel bosco, mentre raccoglieva spensierato le violette ai bordi del pozzo, ai bordi dell'oblio. Il dolore insopportabile va dimenticato, per sopravvivere, per non diventare pazzi.

Il secchio gli disse:
- Signore il pozzo è profondo più fondo del fondo degli occhi della notte del pianto. 
Lui disse:
- Mi basta, mi basta che sia più profondo di me.

il secchio dei ricordi disse al giovane innamorato che dal pozzo dell'oblio non si torna indietro. Piangere e soffrire è comunque ricordare. Una volta dimenticata una cosa non si può più tornare indietro.
Ma lui rispose al secchio che lo sa bene e che gli basta che sia più profondo di lui. Questo può significare soltanto una cosa, che per dimenticare il tremendo dolore, non gli rimane che annullare tutti i sentimenti ovvero buttarsi nel cerchio del pozzo insieme al ricordo di riccioli neri. L'importante è che il pozzo dell'oblio sia più profondo di me e che io non riesca più a uscirne.
Metaforicamente (diventa pazzo) o fisicamente (si suicida gettandosi nel pozzo).



Ottocento




La bella descrizione di una famigliola altoborghese: la voce narrante è il babbo di questa famiglia pseudo tardo ottocentesca all'antica e fuori moda, quasi fuori dal tempo. il progresso e il consumismo/capitalismo corrono veloci e impetuose. M'immagino l''industrializzazione da motore a vapore. Di valori borghesi ma di aspirazione nobile, la parodia di un commerciante austoungarico è allo stesso tempo efficacie e divertente. La famiglia di cui parla però è davvero fuori dal tempo, la canzone si incentra su una metafora dei vaolri e non sua una puntualizzazione storica; è quasi astratta su quel punto di vista.

Cantami di questo tempo
l’astio e il malcontento
di chi è sottovento
e non vuol sentir l’odore
di questo motore
che ci porta avanti
quasi tutti quanti
maschi , femmine e cantanti
su un tappeto di contanti
nel cielo blu

nel prologo quest'uomo non vuole altro che capire: perché c'è gente che non apprezza il capitalismo? se il 'motore' è il sistema dell'industria che ci fa campare ricchi e beati a tutti: perchè qualcuno ad oggi depreca questo sistema mettendosi 'sotto vento' (nascondendosi) questa verità ovvia? (nel dire tutti, cita pure i cantanti che come i poeti sono intellettuali contestatori che spesso si considerano fuori dal sistema, sfruttandone invece di fatto le "potenzialità", come la pubblicità, la produzione in serie ecc)


Figlia della mia famiglia
sei la meraviglia
già matura e ancora pura
come la verdura di papà

La figlia femmina, con un carico di valori patriarcali, è figlia della famiglia intera, meraviglia e gioello di tutti, ancora Pura se pure già grande... come la verdura di papà (dell'orto del nonno pensionato, mi fa venire in mente...). La figlia è quasi un oggetto di scambio, una merce, appunto nel puro stile patriarcale, che trova nuova forma nel capitalismo moderno.


Figlio bello e audace
bronzo di Versace
figlio sempre più capace
di giocare in borsa
di stuprare in corsa e tu
moglie dalle larghe maglie
dalle molte voglie
esperta di anticaglie
scatole d’argento ti regalerò
Ottocento, Novecento
Millecinquecento scatole d’argento
fine Settecento ti regalerò

Il figlio maschio invece domina la situazione, come si confa ai maschi benestanti, secondo il modello che il capitalismo gli ha cucito: bello e audace, benvesito, abile negli affari e con lon le donne.
Alla moglie invece che immagino con questi vesitoni scollati, che si riempe di cazzate e compra cose totalmente inutili per saziare le sue voglie e le sue shiccherie, vuole regalare una bella anticaglia senza utilità. Scatole per riporre potenzialmente niente. Non importa cosa debbano contenere e se siano di valore: gliene compra tantissime, una finta anticaglia prodotta anch'essa inserie, sembrerebbe. L'opulenza.


Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar

Tutto è un pezzo di ricambio, una merce, il corpo paragonato ad una macchina, come a voler parlare anche di ipotetiche plastiche corporee e le quante pesci abboccano a queste cazzate: quante belle triglie nel mare!


Figlio figlio
povero figlio
eri bello bianco e vermiglio
quale intruglio ti ha perduto nel Naviglio
figlio figlio
unico sbaglio
annegato come un coniglio
per ferirmi, pugnalarmi nell’orgoglio
a me a me
che ti trattavo come un figlio
povero me
domani andrà meglio

Questo povero figlio era bello, bianco e vermiglio... è forse morto di morte violenta, annegato dopo qualche rissa con accoltellamento da brava gente ai Navigli? Una morte di così "bassa qualità" in mezzo a gente normale, che sembra gettare un'onta sull'orgoglio familiare. Ma domani è un altro giorno e pure il dolore per la morte di un figlio viene anestetizzato dalla catena di produzione sentimentale.


Ein klein pinzimonie
wunder matrimonie
krauten und erbeeren
und patellen und arsellen
fischen Zanzibar
und einige krapfen
frùer vor schlafen
und erwachen mit walzer
und Alka-Seltzer fùr
dimenticar

Un piccolo pinzimonio
splendido matrimonio
cavoli e fragole
e patelle ed arselle
pescate a Zanzibar
e qualche krapfen
prima di dormire
ed un risveglio con valzer
e un Alka-Seltzer per
dimenticar.

Un po' di cazzi, un matrimonio come cristo comanda, frutta e verdura e cibi di qualità, in atmosfera sempre da signori e un digestivo per dimenticare (anche la morte di un figlio) come se l'ingorgo di sentimenti sia un impiccio da smaltire tanto quanto un'abbuffata di pasto trimalcionico. La vita insomma scorre nella sua finzione altoborghese anestetizzata.


Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar.

E tutti, come dicevamo prima, abboccano a queste cazzate. E giù con uno iodel, perché lo spettacolo deve continuare... come la produzione.

Questa esegesi non sarebbe mai avventa senza l'aiuto fondamentale di Antonino Ciancia :) grazie mille per lo spunto, la mail e i consigli :)

Leggenda di Natale


"Leggenda di Natale è ispirata alla canzone Le Père Noël et la petite fille di Georges Brassens. Il brano verte sulla circonvenzione usata da un furbo senza scrupoli su un'ingenua ragazza che si lascia facilmente ingannare nel suo sentimento più innocente, la fiducia." (wikipedia)


Una meravigliosa canzone che getta un alone di tristezza sui giorni di solito felici del Natale.





Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l'età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea
nel bosco incantato di ogni tua idea.

una bambina ancora nell'età dei giochi con molta fantasia e voglia di scoprire il mondo.


E venne l'inverno che uccide il colore
e un babbo Natale che parlava d'amore
e d'oro e d'argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni.

L'inverno toglie ogni colore, il freddo toglie allegria. Questo babbonatale porta doni importanti e preziosi, ma ha gli occhi freddi come l'inverno che l'accompagna. Occhi non buoni.


Coprì le tue spalle d'argento e di lana
di perle e smeraldi intrecciò una collana
e mentre incantata lo stavi a guardare
dai piedi ai capelli ti volle baciare
dai piedi ai capelli ti volle baciare.

Mentre affascina la bambina con i suoi giochi e l'adesca e la lusinga, la baciò tutta. Le sue attenzioni si fecero morbose e sensuali, come mai si dovrebbe ad una bambina.


E adesso che gli altri ti chiamano dea
l'incanto è svanito da ogni tua idea
ma ancora alla luna vorresti narrare
la storia d'un fiore appassito a Natale
la storia d'un fiore appassito a Natale

Qui riusa il termine Dea. Stavolta però nel bosco incanto delle sue idee è svanito l'incanto dei giochi di bambina. Lei ora è una Dea, forse un frutto della sua stessa fantasia. La bambina, anche crescendo, rimane bambina legata per sempre ad un ricordo tragico che la inchioda. I suoi ricordi rimarranno belli solo da quel momento in prima e mai più dopo le attenzioni del babbonatale saranno giorni felici.
Ormai però è grande e l'incanto come dicevamo è sparito, vorrebbe solo riuscire a raccontare un'altra storia di bambina, un'altra storia del bosco incantato, quella triste. Indicibile. Di un fiore appassito proprio a Natale.
Nelle mie riminiscenze classiche mi sembra di ricordare addirittura che le prostitute nei templi di Afrodite fossero chiamate ironicamente dee. Magari ne è rimasta traccia in qualche modo di dire dialettale in prossimità dei porti del mediterraneo. Tra l'altro non sarebbe inusuale per De André accostare l'amore sacro all'amor profano.


Ancora una volta De André accosta in maniera violenta ma delicata due figure antitetiche (un pedofilo ed un babbonatale, da sempre personaggio buono e caritatevole nei confronti dei bambini, anche lui a suo modo "che ama i bambini") parlando di un evento tragico e di una storia forte, difficile da digerire per una canzone da grande pubblico. Argomenti delicati e pertanto scomodi; questi sono infatti temi poco convenienti e dunque poco cantati da chiunque e quando lo si è fatto si sono usate forme più esplicite e toni più inquisitori (come fosse una captatio benevolentiae verso il pubblico) canzoni strappalacrime che cercano di trascinare emotivamente l'ascoltatore verso un sentimento populista e di massa di risentimento e rancore nei confronti del molestatore. Ancora una volta dimostrando la sua enormità Fabrizio tratta il tema finalmente dalla parte della vittima, con parole dolci e delicate, con accostamenti a figure immaginarie da bambini, con termini molto 'eterei' e quasi onirici.
Splendida.

Dolcenera



Innanzitutto ricordiamo quanto detto dallo stesso De André in un concerto a Treviglio (24/3/1997). Io punterò più sull'alluvione e l'amore, tralasciano il parallelismo col potere.
"Questo del protagonista di Dolcenera è un curioso tipo di solitudine. È la solitudine dell'innamorato, soprattutto se non corrisposto. Gli piglia una sorta di sogno paranoico, per cui cancella qualsiasi cosa possa frapporsi fra se stesso e l'oggetto del desiderio. È una storia parallela: da una parte c'è l'alluvione che ha sommerso Genova nel '72, dall'altra c'è questo matto innamorato che aspetta una donna. Ed è talmente avventato in questo suo sogno che ne rimuove addirittura l'assenza, perché lei, in effetti, non arriva. Lui è convinto di farci l'amore, ma lei è con l'acqua alla gola. Questo tipo di sogno, purtroppo, è molto simile a quello del tiranno, che cerca di rimuovere ogni ostacolo che si oppone all'esercizio del proprio potere assoluto."


Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê

Guardala che arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com'è
guardala che arriva che è lei che è lei
[parla chiaramente dell'acqua fangosa che vien giù dalla montagna]

nera che porta via che porta via la via
nera che non si vedeva da una vita intera così Dolcenera nera
nera che picchia forte che butta giù le porte

considerando che è a tutti chiaro, anche in base a quanto dichiarato dallo stesso DeAndré, che si sta parlando dell'alluvione del '72 di Genova, "nera" è la fiumara di fango che viene giù dalla montagna, che si porta via anche la via, la strada. Nera così, non si vedeva da una vita! una valanga di fango che nel suo impeto abbatte i portoni delle case. Ma Dolcenera è anche il nome di lei.

nu l'è l'aegua ch'à fá baggiá
imbaggiâ imbaggiâ

Non è l'acqua che fa sbadigliare [quella melanconica e romantica dell'acquazzone che ci fa stare chiusi in casa ad aspettare dietro al vetro che finisca]
(ma) chiudere porte e finestre, chiudere porte e finestre

nera di malasorte che ammazza e passa oltre
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna
nera di falde amare che passano le bare

nera come la sfiga, che ti travolge e ammazza mentre sei a passeggio senza lasciarti il tempo di metterti al riparo sicuro, perché è quella jella nera che ti si accanisce e ti porta via tutto. La sfortuna potrebbe essere trovarsi in cantina e fare quella che viene chiamata "la fine del sorcio" ovvero rimanere intrappolato nella tana senza via d'uscita: una tana senza luna, che non vede il sole... la cantina dalla quale non si riesce ad uscire perché l'acqua arriva in fretta e violenta. L'acqua nera che ti lascia l'amaro in bocca mentre sfilano le bare: perché la maggior parte dei morti che lascia un alluvione, sono incidenti e sfortune. Anche la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato...

âtru da stramûâ
â nu n'á â nu n'á

Altro da traslocare
non ne ha non ne ha
[in riferimento alla bara che passa: ormai tutto è distrutto e non ha cose da traslocare che sé stesso verso il cimitero]

ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere
ché è venuta per me
è arrivata da un'ora
e l'amore ha l'amore come solo argomento
e il tumulto del cielo ha sbagliato momento

la moglie di Anselmo è l'amante, probabilmente la bella donna del paese. Non ha un nome, forse è la moglie di conoscente o di un personaggio pubblico, come dire la moglie del farmacista, la moglie dell'avvocato, la moglie del segretario del tuo partito :) Ma evidentemente lei non sa che sta arrivando l'alluvione, perché lei sta venendo da me e questo è solo un piccolo tumulto che ha sbagliato momento di arrivare, per lei così innamorata e determinata nel vedermi.

acqua che non si aspetta, altro che benedetta
acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale
acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte

nessuno si aspettava quest'acqua che è ben altro che benedetta, anzi è una vera jella! acqua che porta male e "sale" di livello ed è "senza sale" ovvero non è di mare, ma acqua che arriva dalla montagna, che col suo fiume impetuoso sembra spaccare il monte, trascina terra con se e distrugge i ponti

nu l'è l'aaegua de 'na rammâ
'n calabà 'n calabà

Non è l'acqua di un colpo di pioggia
(ma) un gran casino un gran casino

ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare
quando ingorga gli anfratti si ritira e risale
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell'onda
e la lotta si fa scivolosa e profonda

ma lei che sta venendo da me sta immaginando l'acqua del mare che si infrange sugli scogli e si gonfia in onde grosse come fa un lenzuolo con sotto due amanti che fanno l'amore

amiala cum'â l'aria amìa cum'â l'è cum'â l'è
amiala cum'â l'aria amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê

Guardala come arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei

acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti
acqua per fotografie per cercare i complici da maledire
acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti

pioggia battente che penetra nei solai, l'acqua fotografata da reporter e amatoriali... di quei video che anche oggi vediamo sui telegiornali, i quali a volte immortalano momenti particolari dai quali si riesce ad evincere di chi altro sia la colpa (persona fisica o altro agente) di questa sciagura o di quella morta, oltre che dell'acqua infausta. Acqua che 'stringe ai fianchi' e fa come la tonnara (la rete per pescare i tonni) ma con delle persone, coi passanti.

âtru da camallâ
â nu n'à â nu n'à

Altro da mettersi in spalla
non ne ha non ne ha

oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi

dopo il muro dei vetri, intesi secondo me come "i cocci", la gente riesce dalle barricate e si prende per mano, sa dà forza vicendevolmente dopo la tragedia... come fanno i due amanti che avevano paura di perdersi e invece dal gesto di quest'oggi (lei che affronta la traversata di Genova nonostante la pioggia per andare da lui) hanno la certezza di amarsi

acqua che ha fatto sera che adesso si ritira
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente
fredda come un dolore Dolcenera senza cuore

acqua che ha scurito il cielo, che adesso sta scendendo di livello, sfila via tra la gente come fosse innocente dei danni, sgattaiola inosservata (adesso che così bassa com'è non ci fa caso più nessuno, non fa paura più a nessuno). Ma lascia per strada un lutto per questa nostra storia molto importante...

atru de rebellâ
â nu n'à â nu n'à

Altro da trascinare
non ne ha non ne ha

e la moglie di Anselmo sente l'acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza
così fu quell'amore dal mancato finale
così splendido e vero da potervi ingannare

Lei è sdraiata a terra, l'acqua la scopre piano piano (e dire che la sente è un eufemismo, dato che è ormai morta) e le lascia i vestiti incollati al corpo bagnato e gelido. Il tram su cui stava è stato sommerso e lei è rimasta intrappolata. Forse semplicemente è metafora per dire che niente la collega più a questo mondo, ora che di tempo ne ha troppo (in contrapposizione a prima che non poteva aspettare e che ha preferito non aspettare che passasse il piccolo "tumulto del cielo", pensando scioccamente che fosse il cielo ad aver sbagliato momento e che non l'avrebbe fermata). Così FU quell'amore (questi ultimi due versi sembrano un epitaffio dell'amore) dal mancato finale, non consumato, così splendido e vero, puro, forte, che sfida la morte, da sembrare possibile! Ma lei stava davvero andando da lui e lui ha immaginato tutto? 

Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê

Guardala che arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com'è
guardala che arriva che è lei che è lei


Su questo finale sembra quasi che il coro stia parlando a lui, dicendogli di guardare ancora, che presto arriverà, che sta arrivando da lui, che è sopravvissuta al temporale...
L'idea che ci siano una serie di voci spettatrici della vicenda, dell'alluvione che sopraggiunge per sventura sopra di lei che viaggia in tram verso lui, rende la canzone unica nel suo genere. Questo coro che assiste e mette in guardia e descrive la valanga di fango che travolge la città è una cosa meravigliosa, un controcanto che la rende molto simile ad una tragedia greca...



* * * *

"Può anche esistere uno stato di isolamento, di autoemarginazione involontariamente vissuti o volontariamente desiderati a seconda della lettura che si vuol fare di Dolcenera: in ognuno dei due casi l'innamorato e il tiranno (quando Dolcenera voglia essere intesa come metafora del potere) escludono ogni cosa che non si accordi alla loro passione, vivono in un sogno paranoico che elimina l'"altro", lo fanno apparire o scomparire secondo i misteriosi percorsi della propria follia, chiunque o qualunque cosa sia (la moglie di Anselmo o l'alluvione di Genova nel 1972). Quando l'"altro" è considerato come possibile ostacolo al conseguimento del proprio fine, viene rimosso. Perfino il "tumulto del cielo" o lo straripare di un torrente "sbagliano momento", e l'amore, che non può arrivare all'appuntamento perché coinvolto nello spettacolo dei vivi che si aiutano nella difficoltà del momento, viene vissuto come presenza reale, rimuovendone l'assenza. La solitudine o meglio l'autoemarginazione del protagonista di Dolcenera è in apparenza la più difficile da sostenere come sinonimo di libertà, eppure è opinione, non solo di chi scrive, che l'apice della libertà stessa sia raggiungibile proprio attraverso la follia e ciò al di là di ogni valutazione di natura etica."
[In Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 75]


* * * *

"Durante l'alluvione di Genova dell'ottobre 1972 si consuma un immaginario amore fra il protagonista e la moglie di un non meglio precisato Anselmo. Un coro fa da sfondo alla vicenda. Si esprime in genovese, con esclamazioni di stupore e allarme riferite alla pioggia ("amìala ch'â l'aria, amìa cum'â l'è, cum'â l'è"). La voce solista descrive il fenomeno atmosferico trasfigurandolo in una simbologia di sfortuna nera che non permette alla donna di raggiungere il protagonista.
Musicalmente si notano la linea melodica ossessiva e martellante, riservata al coro, e i raccordi strumentali, riservati alla fisarmonica, che a tratti ricordano il refrain di Don Raffae'."
[Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 160]



grazie allo stimolo ricevuto da Fulvio Bertolino portavoce e cantante di una cover band ferrarese di De André per affrontare questa canzone :)

Al Ballo Mascherato


Cristo drogato da troppe sconfitte
cede alla complicità
di Nobel che gli espone la praticità
di un'eventuale premio della bontà

entriamo nella psiche del bombarolo: l'uguaglianza è il bene supremo. Cristo è portatore di uguaglianza tra gli uomini, messaggio dirompente ed esplosivo che cambierà la storia, ma purtroppo non avrà molte vittorie: dopo duemila anni gli uomini non sono ancora tutti uguali; seppur ci dicono di avere un parlamento democratico, sappiamo che il "potere" ci divide. Chi balla mascherato tra le celebrità e chi manifesta in piazza. Anche Cristo si sarebbe emarginato in questa società (emarginato=drogato) ma soprattutto credo intenda dire che queste sconfitte son talmente esplicite, quotidiane, crudeli, da far girar la testa persino a Cristo (che di fiducia nel prossimo ne aveva molta!!). Quindi Lo ipotizza cedere alla tentazione di Nobel (inventore della dinamite) per una soluzione pratica, "giusta" e ripristinatrice di egalitarismo, ovvero (per lui) buona. La bomba: novella diluvio universale. ["una bomba quando esplode, fa gli uomini davvero tutti uguali" Rein, da EST]

Maria ignorata da un Edipo ormai scaltro
mima una sua nostalgia di natività,
io con la mia bomba porto la novità,
la bomba che debutta in società,
al ballo mascherato della celebrità.

Maria, la mamma di questo Cristo scoraggiato e disilluso della vecchia pratica del porgi l'altra guancia, e diventato portatore di uguaglianza con la dinamite è ormai ignorata da Edipo, figlio-marito... che per quanto figlio-marito grande ormai emancipato, rimarrà sempre un giovane figlio e mima nostalgicamente la natività (ricordando la tenerezza del bambinetto cristo-edipo in fasce ed innocuo); ma iobombarolo-cristo-edipo con la mia bomba porto la novità, qualcosa di "esplosivo" insomma la bomba al banchetto dei potenti: porto qualcosa che smaschera le ipocrisie del potere. Insomma sto bombarolo era un cocco-di-mamma e diventa grande, era uno che contava i denti ai francobolli e diventa il protagonista del ripristino dell'uguaglianza tra gli uomini.

Dante alla porta di Paolo e Francesca
spia chi fa meglio di lui:
lì dietro si racconta un amore normale
ma lui saprà poi renderlo tanto geniale.
E il viaggio all'inferno ora fallo da solo
con l'ultima invidia lasciata là sotto un lenzuolo,
sorpresa sulla porta d'una felicità
la bomba ha risparmiato la normalità,
al ballo mascherato della celebrità.

Dante spia gli amanti per invidia e da invidioso moralista getta all'inferno chi invece è semplicemente libero e felice: i frustrati si sa, quando sono al potere, mirano a reprimere i liberi giustappunto per invidia della loro libertà! Questa bomba che uccide e smaschera l'ipocrisia però lascia vivi i normali. Qui identifica Paolo e Francesca con i liberi e i normali che resteranno vivi... e Dante con il potere, gli ipocriti invidiosi-repressi-bacchettoni-giudicatori, con coloro che la bomba spazzerà via. Questa strofa serve più che altro a farci capire chi sono i buoni (normali) e chi i cattivi (i "ballanti" di questa festa)

La bomba non ha una natura gentile
ma spinta da imparzialità
sconvolge l'improbabile intimità
di un'apparente statua della Pietà.

questa è bella: la bomba ovviamente non è gentile, non è certo "porgi l'altra guancia" come filosofia, ma è spinta da imparzialità: uccide tutti i presenti che siano ricchi o poveri, potenti o meno, sconvolgendendo i ruoli istituzionali che da sempre vedono scandalo nell'ugaglianza di tutti; sconvolge addirittura il rapporto di potere base, pur fondato sull'amore, che è quello della famiglia; (dato si che con la Pietà credo intenda la celeberrima statua di Michelangelo che rappresenta cristo raccolto morto dalla madre e sta dentro san pietro) è una intimità improbabile quella di madre e figlio perchè di solito le madri (il potere) non han pietà per i figli (i manifestanti). O quantomeno è una pietà apparente.

Grimilde di Manhattan, statua della libertà,
adesso non ha più rivali la tua vanità
e il gioco dello specchio non si ripeterà
"Sono più bella io o la statua della Pietà "
dopo il ballo mascherato del celebrità.

Grimilde (la matrigna di biancaneve per chi non lo sapesse) di manhattan, ovvero la statua della libertà (ma quale è la libertà "madre" di questi sessantottini? quella rappresentata da quella statua? quella di "libertà, uguaglianza e fratellanza"? quella rivoluzione ha portato a nuovi poteri borghesi e quella non è che una matrigna di questa rivoluzione: la libertà ha lo stesso nome ma non è la stessa insomma) ... adesso la tua vanità ("chi è la più bella del reame?" chiedeva Grimilde allo specchio!) e la tua crudeltà e la tua voglia di imporre il tuo concetto oppressivo di libertà, non ha più rivali (dopo esplosa la Pietà). Quale Libertà è più "bella"? quella mercantile o quella famigliare? di quale giogo saremo schiavi? dopo il ballo mascherato non ci saranno più poteri costituiti. Faremo saltare in aria madri e matrigne! Salterai in aria anche tu, come la Pietà!

Nelson strappato al suo carnevale
rincorre la sua identità
e cerca la sua maschera, l'orgoglio, lo stile,
impegnati sempre a vincere e mai a morire.
Poi dalla feluca ormai a brandelli
tenta di estrarre il consiglio della sua Trafalgar
e nella sua agonia, sparsa di qua, di là,
implora una Sant'Elena anche in comproprietà,
al ballo mascherato della celebrità.

L'ammiraglio Nelson è un eroe nazionale trattato quasi come un santo dagli inglesi, come per gli italiani potrebbe essere Garibaldi; è una "autorità" per eccellenza, a cui lui toglie la maschera vedendolo rincorrere la sua identità, mentre si impegna ad essere quel sant'uomo descritto dalle biografie che non gli lasciano nemmeno il tempo di morire! Poi dalla feluca (che è un tipo di nave, ma anche il cappello dell'ammiraglio di marina) a brandelli tira furi l'asso dalla manica o il coniglio dal cilindro (o meglio, appunto, dalla feluca) della sua trafalgar (l'ultima sua battaglia, che vinse, ma in cui morì). Leggenda vuole che colpito a morte in quella battaglia, non morì definitivamente finchè la battaglia non finì e la vittoria inglese fu decretata! Leggenda appunto di un eroe che fa aspettare addirittura la morte (eroe fino alla fine, impeganto più a vincere che a morire) per il bene patrio! Ma nella sua agonia di morente anche lui certamente avrà pensato che di gran lunga migliore è stata la sorte del suo avversario (napoleone) il quale è diventato simbolicamente imperatore dell'isola in cui fu esiliato (sant'Elena). E Nelson più che morire avrebbe volentieri condiviso l'isola con Napoleone! Ovviamente l'ipocriosia del potere vuole che lui morì contento di aver fermato il nemico francese!

Mio padre pretende aspirina ed affetto
e inciampa nella sua autorità,
affida a una vestaglia il suo ultimo ruolo
ma lui esplode dopo, prima il suo decoro.
Mia madre si approva in frantumi di specchio,
dovrebbe accettare la bomba con serenità,
il martirio è il suo mestiere, la sua vanità,
ma ora accetta di morire soltanto a metà
la sua parte ancora viva le fa tanta pietà,
al ballo mascherato della celebrità.

e dopo il potere morale (dante e il suo inferno che incastra gli amanti), quello della storia (cristianesimo/rivoluzione francese che incastrano la Libertà) quello della patria (che incastra Nelson nel suo ruolo di eroe nazionale) arriva il potere della mamma e del papà del bombarolo; il papà vuole affetto anestetizzato, inciampando nella sua stessa toga (il padre di deandré era avvocato) ed affida proprio al suo ruolo (la maschera del potere) i suoi ultimi istanti. Ma lui esplode dopo, prima il suo decoro (il panico da bomba fa uscire di senno anche i personaggi più "ingessati" dal ruolo); la madre invece si compiange e si autocommisera... ma proprio per questo dovrebbe essere tranquilla della bomba dato che il suo mestiere è proprio piangersi addosso! e le piace talmente tanto che cerca di morire soltanto a metà, per commiserare la sua parte ancora in vita!

Qualcuno ha lasciato la luna nel bagno
accesa soltanto a metà
quel poco che mi basta per contare i caduti,
stupirmi della loro fragilità,
e adesso puoi togliermi i piedi dal collo
amico che m'hai insegnato il "come si fa"
se no ti porto indietro di qualche minuto
ti metto a conversare, ti ci metto seduto
tra Nelson e la statua della Pietà,
al ballo mascherato della celebrità.

non so cosa signifi la luna accesa nel bagno (perchè non in sala o in camera? in fondo "bagno" non è necesserio per alcuna rima!). Comunque quella poca luce che rimane gli basta per vedere i risultati del suo lavoro e stupirsi di quanto sia stato facile far cadere potere e ipocrisia che sembravano così duri a morire ed è talmente soddisfatto ed esaltato da prendersela addirittura coi suoi maestri che ora, dato il delirio di onnipotenza che ormai l'ha colpito ("il fosforo di guardia segnalava la tua urgenza di potere" dirà nella canzone dopo) gli sono d'intralcio e sostanzialmente le promette anche a loro: ti metto tra Nelson (incastrato nel ruolo della patria) e la Pietà (simbolo dell'amore opprimente, del patriarcalismo se vogliamo) ...perché ormai anche i maestri del '68 fanno parte, secondo il personaggio, delle maschere del potere!
Nella canzone successiva scoprirà di essere diventato lui stesso parte del potere che voleva abbattere e che invece ha soltanto sostituito.

Verranno a Chiederti del nostro Amore


Quando in anticipo sul tuo stupore
verranno a crederti del nostro amore
a quella gente consumata nel farsi dar retta
un amore così lungo tu non darglielo in fretta
quando verranno a chiederti cosa ci legava, ed accadrà prima di quel che pensi, non lasciarti ingannare dalle parole dolci, dai mestieranti del parlare: non sminuire con le parole ciò che a parole non può essere spiegato. Non regalare perle ai porci, in sostanza!

non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell'amore
dopo l'amore così sicure a rifugiarsi nei "sempre" nell'ipocrisia dei "mai"
Non sforzarti nemmeno di cercare di esprimere a parole, anche perchè nell'esprimere sentimenti non sei mai stata un granchè :) Evidentemente è una donna riservata che non si presta a smancerie se non alle classiche ipocrisie dei "ti amerò per sempre" e dei "non ci lasceremo mai" (ipocrisie perchè di fatto lo ha tradito: il loro amore è finito quando lui entra in carcere, dal momento che rimane "lontana dal ridicolo in cui lo lasciò solo")

non sono riuscito a cambiarti, non mi hai cambiato lo sai.
nonostante tutto siamo sempre stati bene, benchè nelle coppie si tenda sempre a cambiare per compiacere l'altro, il nostro amore è stato lungo proprio perchè (nonostante nemmeno io sia indenne dalle logiche di potere dell'amore) non sono mai riuscito a snaturarti Forse perchè mi piacevi così tutto sommato: forse anche perchè non mi hai cambiato, ma accettato...

E dietro ai microfoni porteranno uno specchio
per farti più bella e pesarmi già vecchio
tu regalagli un trucco che con me non portavi
e loro si stupiranno che tu non mi bastavi,
cercheranno di renderti fenomeno da baraccone: "L'intervista alla compagna del pazzo bombarolo!!", ti lusingheranno perchè sfrutteranno la tua bellezza ed io diventerò sempre più un ricordo lontano. Alla fine ti sceglieranno per la tua bellezza e niente più ti legherà al pazzo bombarolo quindi tu sfrutta questa cosa e allontanati ulteriormente da me: regalagli un trucco, una maschera, dei comportamenti finti di cui non vevi bisogno quando stavi con me perchè tra noi non c'era finzione 8ci stavamo bene così com'eravamo!) e loro si stupiranno che io cercassi altro: cosa voleva di più di una donna così accanto?

digli pure che il potere io l'ho scagliato dalle mani
dove l'amore non era adulto e ti lasciavo graffi sui seni
per ritornare dopo l'amore alle carenze dell'amore era facile ormai
e tu rispondigli che volevo scappare dal potere e dalle istituzioni, dalle regole imposte e dalle costrizioni e dalla violenza. Il potere l'ho scagliato dalle mani, il potere è la bomba, il potere è la violenza sugli altri. E rispondigli che sono sempre stato così, anche nell'intimità: ribelle e goffo come un amante che per passione e goffagine graffia i seni al suo amore. Per ritornare poi a tenere coccole e carezze da dolci amanti.

non sei riuscita a cambiarmi non ti ho cambiata lo sai.
E nonostante questi miei difetti pur evidenti e consapevoli, non sei riuscita a cambairmi e a snaturarmi. Forse perchè ti piacevo così, forse non ti ho cambiata ma accettata così come sei...

Digli che i tuoi occhi me li han ridati sempre
come fiori regalati a maggio e restituiti in novembre
i tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro
i tuoi occhi assunti da tre anni i tuoi occhi per loro,
I tuoi occhi me li hanno ridati sempre, questi difetti. Ovvero ci leggevamo negli occhi la consapevolezza di queste nostre caratteristiche. Questi miei difetti i tuoi occhi me li hanno sempre restituiti però con la freschezza e la franchezza estiva. Dei sei mesi caldi per capirci. i tuoi occhi ora sono invece vuoti, dei vuoti a rendere però: vuoti perchè restituiscono il vuoto che ci infila dentro chi ti ha dato lavoro (per giunta a tempo determinato!) ecco cosa sono i tuoi occhi per loro. Resta che luio sa leggere negli occhi di lei e li vede come uno 'specchio'. Finchè ci mettevo amore c'ho visto amore, quando ci mettevo critica mi ritornavan le critiche e ora che ci mettono il vuoto, ci vedo il vuoto. I rapporti son fatti sempre di interrelazione tra persone!

ormai buoni per setacciare spiagge con la scusa del corallo
o per buttarsi in un cinema con una pietra al collo
e troppo stanchi per non vergognarsi di confessarlo nei miei proprio identici ai tuoi
e questi occhi così vuoti ora non possono far latro che guardare in basso, distrattamente, come quando cerchi qualcosa. Ed è estremamente difficile che tu riesca, pur settacciandola, a trovare del corallo nella sabbia. Quindi è una ricerca perenne ed infruttuosa. E' come cercare un ago in un pagliaio, credo sia impossibile trovare coralli sulla spiaggia, se nn dei frammenti rotti trasportati dalla corrente. Oppure son buoni per guardare un film lacrimoso al cinema. Ma sono troppo stanchi per reggere una maschera ed infatti ti vergogni di confessarmi che sei conscia di questo vuoto e non mi guardi negli occhi: forse anche perchè sai che guardandomi lo stesso identico vuoto lo troveresti nei miei.

sono riusciti a cambiarci ci son riusciti lo sai.
lo vedi? ci hanno svuotato. Sono riusciti a cambiarci e a snaturarci. Non ci hanno accettati per come eravamo e ci hanno incardinato nel sistema. A me più ribelle col carcere, a te più docile con un lavoro e una stabilità e con la 'normalità'.

Ma senza che gli altri non ne sappiano niente
dirmi senza un programma dimmi come ci si sente
continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito
farai l'amore per amore o per avercelo garantito,
Ma senza farti accorgere, perchè adesso porti una maschera che con me non portavi dimmi: come ti stai adesso che hai raggiunto la normalità? ora che hai un lavoro e una stabilità che non ti fanno desiderare, sognare, progettarie niente? io direi: ora che hanno annichilito la tua fantasia di immaginare qualcosa di migliore e una vita diversa? adesso che hanno soddisfatto il tuo narcisismo e ti hanno normalizzata e conformata al ruolo di donna-moglie... farai l'amore perchè ti va e ti piace o perchè così devi? o perchè così fan tutte?

andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori
o resterai più semplicemente dove un attimo vale un altro senza chiederti come mai,
Diventerai come Alice [potrebbe trattarsi di quella di DeGregori che guarda i gatti e che sembra non sapere mai niente e non accorgersi mai di niente, probabilmente perchè non è un tipo che si fa domande... oppure st'Alice se droga pesantemente e sta sempre un pò rincoionita dato che si fa il whisky distillando fiori] o con uno scipafemmine un pò macho incardinato e normalizzato "uomo" (proprio come hanno normalizzato "donna" te) che fa la parte dell'uomo senza saperlo e senza rendersi conto che è schiavo di stereoipi maschilisti coluturali anche lui o resterai là nel limbo senza farti domande, senza voler sciogliere questi nodi, senza approfondire e farti domande continuando a tenere occupata la tua vita con cazzate (tipo quel lavoro in cui ti hanno assunta 'da tre anni') pur di non pensare e fare i conti con te stessa?

continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?
continuerai a fare finta e a portare quella maschera che con me non portavi perchè eri libera perchè accettata, continuerai a farti trasportare dagli eventi invece di viverli, continuerai a non farti domande e a non fare i conti, continuerai a farti imporre scadenze credendo che è quello che vuoi, continuerai a porti delle scuse che sai essere scuse per non affrontare la realtà o finalmente ti fermerai un attimo per capire cosa vuoi fare? qual'è la tua volontà?
o finalmente sceglierai?


Il Testamento di Tito







Ma prima della fine con la canzone che chiude l’album riprendendo il tema iniziale (in cui come vedremo c’è il verso che dà senso all’intera opera), c’è tempo per la ciliegia sulla torta più buona che un cantautore abbia mai pensato. Basterebbe da sola una canzone come “Il Testamento Di Tito” per assicurare a qualsiasi album un posto nella storia: il punto di vista è quello del ladrone morente accanto a Gesù, che  lancia uno dei messaggi più etici e umani di sempre, dal valore ineguagliabile. Passando in rassegna i dieci comandamenti, li smonta uno ad uno con esempi pratici del suo vissuto. Le leggi sono aride e senza umanità, violente per definizione. Scritte per chi il potere ce l’ha, per chi può. E chi non può, per condizione sfortunata ed esigenza, è fuorilegge. E Gesù è lì inchiodato senza giustizia e senza perdono. 

"Non avrai altro Dio all'infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall'est dicevan che in fondo era uguale. Credevano a un altro diverso da te e non mi hanno fatto del male.

Non nominare il nome di Dio, non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco gridai la mia pena e il suo nome: ma forse era stanco, forse troppo occupato, e non ascoltò il mio dolore. Ma forse era stanco, forse troppo lontano, davvero lo nominai invano.

Onora il padre, onora la madre
e onora anche il loro bastone. Bacia la mano che ruppe il tuo naso perché le chiedevi un boccone: quando a mio padre si fermò il cuore non ho provato dolore.

Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni entrare nei templi che rigurgitan salmi, di schiavi e dei loro padroni, senza finire legati agli altari sgozzati come animali.

Il quinto dice non devi rubare
e forse io l'ho rispettato vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie di quelli che avevan rubato: ma io, senza legge, rubai in nome mio, quegli altri nel nome di Dio.

Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme. Feconda una donna ogni volta che l'ami così sarai uomo di fede: Poi la voglia svanisce e il figlio rimane e tanti ne uccide la fame. Io, forse, ho confuso il piacere e l'amore: ma non ho creato dolore.

Il settimo dice non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno. Guardatela oggi, questa legge di Dio, tre volte inchiodata nel legno: guardate la fine di quel nazzareno e un ladro non muore di meno.

Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo. Lo sanno a memoria il diritto divino, e scordano sempre il perdono: ho spergiurato su Dio e sul mio onore e no, non ne provo dolore.

Non desiderare la roba degli altri, non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi che hanno una donna e qualcosa: nei letti degli altri già caldi d'amore non ho provato dolore.

L'invidia di ieri non è già finita: stasera vi invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio, mi toglie il dolore dagli occhi e scivola il sole al di là delle dune a violentare altre notti: 
io nel vedere quest'uomo che muore, madre, io provo dolore.

Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l'amore".

Forse è proprio questo il senso dell’opera deandreiana, in cui significativamente Cristo non ha pronunciato una sola parola: la grandezza di questa “buona novella” non viene dalle parabole e dalle promesse di eternità dell’anima, ma dai fatti concreti della vita di Cristo, da una condotta umana che qui ci giunge riflessa dalle parole di Tito. Non servono i 10 comandamenti: “La Buona Novella” è un modo diverso di essere uomini, si può essere beati anche in questo mondo, purchè in ciascuno esista il sentimento di pietà e umana partecipazione al dolore degli altri. Cristo inventa il sentimento della pietà come noi oggi lo intendiamo.

Questo è certamente uno dei pezzi in cui De Andrè riesce ad esprimere meglio tutta la sua spiritualità, il suo umanesimo e il suo anarchismo. L’amore, il non giudicare sommariamente, il perdonare.




Laudate Hominem







Per arrivare al senso totale dell’album invece abbiamo ancora una canzone. Idealmente il cerchio i chiude e dal Laudate Dominum della prima traccia si arriva al Laudate Hominem dell’ultimo. Ancora una volta è il coro a parlare e a spiegarci tutto.A cantarla sono gli straccioni, siamo tutti, tutta la cultura del cristianesimo.

Laudate dominum, Laudate dominum
Il potere che cercava il nostro umore mentre uccideva nel nome di un dio,
nel nome di un dio uccideva un uomo: nel nome di quel dio si assolse.
Poi poi chiamò Dio quell'uomo e nel suo nome, nuovo nome, altri uomini uccise
Non voglio pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Laudate dominum, Laudate dominum

Lodate il Dio, canta il coro come all’inizio del disco. Ma gli straccioni subito rispondono: il potere cercava il nostro umore, si nascondeva dietro la volontà del popolo di scegliere di salvare Barabba, mentre uccideva nel nome di Dio un uomo. E nel nome dello stesso Dio si assolse da quell’omicidio. Assoluzione e delitto, lo stesso movente, potremmo dire. Poi dopo chiamò Dio quell’uomo che aveva ucciso, Gesù Cristo e anche in nome di questo Dio uccise altri uomini. Dio sembra solo una grande scusa del potere per uccidere e opprimere gli uomini. Ed io allora non Voglio pensarti figlio di Dio, ma figlio di un uomo che sbaglia, fratello mio.
Laudate Dominum ripete il potere.

Ancora una volta abbracciamo la fede
che insegna ad avere il diritto al perdono, 
perdono sul male commesso nel nome d'un dio
che il male non volle finché restò uomo.
Non posso pensarti figlio di Dio, ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Laudate dominum

Allora, dicono gli straccioni, abbracciamo la fede che insegna ad avere il perdono solo sul male commesso in nome di Dio, come quello che fate voi? Ma questo Dio finché restò uomo non voleva il male. No, anche se volessi, io non posso pensarti figlio di quel Dio, ma piuttosto figlio dell’uomo che sbaglia, fratello anche mio.
Tentano ancora i sacerdoti. Laudate dominum!

Qualcuno tentò di imitarlo, se non ci riuscì fu scusato, anche lui perdonato.
Perché non s'imita un dio, un dio va temuto e lodato
Laudate hominem
No, non devo pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.
Laudate hominem.


E allora lodate solo l’uomo e non più il Dio, il potere. Ecco la chiave, pur volendo, pur potendo io non DEVO vederti come figlio di Dio. Altrimenti questo potere commetterà violenza, perché non ci sono poteri buoni. E allora devo pensarti come un semplice uomo, figlio dell’uomo e dunque fratello anche mio. Perché se esiste un Dio che giudica, condanna e commette violenza, uccide, per questo basta e avanza il potere dell’uomo. Mentre invece non esiste un Dio che perdona. Perché perdona solo chi ammette di poter sbagliare, perché sa che vivendo, si sbaglia. Dio non sbaglia, vivono e sbagliano solo gli uomini e solo gli uomini dunque perdonano. Solo gli uomini amano davvero. Lodate l’uomo, l’uomo che ama e che perdona come Cristo. Lodate la parte umana del Dio, quello che si fa uomo. 







Tre Madri







Non appena i tre condannati vengono crocifissi, le loro rispettive Tre Madri stanno adagiate sotto le croci per confortarli. Tutti gli altri spariscono dalla scena e rimangono solo queste Tre Madri: Maria la madre di Gesù, quella di Dimaco e quella di Tito, i due ladroni. 

"Tito, non sei figlio di Dio
Ma c'è chi muore nel dirti addio"
"Dimaco, ignori chi fu tuo padre
Ma più di te muore tua madre"
"Con troppe lacrime piangi, Maria
Solo l'immagine d'un'agonia
Sai che alla vita, nel terzo giorno
Il figlio tuo farà ritorno
Lascia noi piangere, un po' più forte
Chi non risorgerà più dalla morte"

Già l’idea di far incontrare le tre madri dei condannati a morte e aprire il Golgota ad altre figure che non sono lì per Cristo, è uno spaccato di umanità incredibile. E’ la madre di Tito a cominciare il cordoglio. Non sei figlio di Dio, ma tua madre è qui che muore nel dirti l'ultimo addio. Dimaco invece non sa nemmeno chi fu il padre, ma certamente la madre è lì sotto a piangere il figlio. Maria piange troppo per le mamme dei due ladri. Sembra che vogliano quasi metterla in un angolo, dal momento che il dolore di lei durerà soltanto tre giorni, dal momento che poi Cristo risorgerà. Mentre il loro dolore sarà per tutta la vita di madri, per sempre. 

"Piango di lui ciò che mi è tolto
Le braccia magre, la fronte, il volto
Ogni sua vita che vive ancora
Che vedo spegnersi ora per ora.
Figlio nel sangue, figlio nel cuore
E chi ti chiama, Nostro Signore
Nella fatica del tuo sorriso
Cerca un ritaglio di Paradiso
Per me sei figlio, vita morente
Ti portò cieco questo mio ventre
Come nel grembo, e adesso in croce
Ti chiama amore questa mia voce

E Maria risponde loro facendo emergere tutta la sua umanità di madre. Piange la carne del figlio, piange ogni ora di sofferenza che lo accompagna alla morte. Piange il fatto che è suo figlio di sangue e di cuore, che non è uguale a quello di chi lo chiama Nostro Signore e cerca di guadagnarsi con la fede uno posto in paradiso. Per lei è semplicemente suo figlio, vita morente. Continuerà a chiamarlo “amore” adesso in che è in croce così come quando lo portava in grembo. 

Non fossi stato figlio di Dio
T'avrei ancora per figlio mio"


E infine si rivela tutto lo strazio della madre, condannata a portare in grembo il figlio di Dio, destinato a soffrire per salvare tutti gli altri figli di tutte le altre donne: non fossi stato figlio di Dio e non fossi dovuto morire in croce, adesso ti avrei ancora vivo come mio semplice figlio.




il mio romanzo

Una vita e mezza
Una Vita e Mezza è un libro che parla soprattutto dell’assenza. O meglio della ricerca, tanto demotivata quanto inconsapevole, di come si può costruire una ciambella salvagente intorno a quel buco che ti si crea dentro quando perdi una persona. Cosicché quel buco, che risucchiava tutto il presente privandolo di senso, possa trasformarsi nel nostro galleggiante. E addirittura salvarci, traghettandoci verso il futuro.
È la storia di un viaggio, metaforico quanto reale, di un ragazzo che è stufo del suo galleggiare, ma che non sa dare una scossa alla propria esistenza. Così parte fidandosi e affidandosi al suo amico, sperando che qualcosa di imprevisto lo colga per assaporare un po’ di brivido della vita.
Riuscirà a trasformare il suo futuro innamorandosene anziché rimanendone schiacciato e afflitto?
Se c’è un’intenzione mirata in tutto ciò, è la creazione del neologismo che indica il dolore per il futuro mancante, la mellontalgia. In contrapposizione con la nostalgia, che indica l’afflizione per il ritorno a casa (nostos), per il passato, per l’infanzia, questa è l’afflizione per to mellon cioè l’avvenire o le cose future, in greco antico. Vuole indicare un dolore attribuito al futuro negato e non vissuto. A ciò che poteva essere e invece non sarà mai. Chissà se se ne sentiva la mancanza.